[DISCLAIMER: questo è un articolo nozionistico, pertanto NON consiglio a nessuno di seguire questi approcci terapeutici ma di affidarvi ai vantaggi della moderna medicina seguendo le direttive del vostro medico di fiducia e lasciando in pace i polli]

Recentemente ho scritto un articolo riguardante il Papiro di Edwin Smith e la medicina illuminata del 3000-2500 a.C. (che vi consiglio di andare a leggere se non l’aveste ancora fatto).
Oggi voglio andare all’estremo opposto dello spettro, parlando dei “rimedi” che la gente utilizzò per “curare” la Peste Nera, che colpì il Centro Europa e il Nord Africa tra il 1346 e il 1353 uccidendo quasi 25 milioni di persone, pari a un terzo della popolazione dell’intero Continente Europeo.
Prima di tutto, facciamo un identikit di ciò che si intende per Peste Nera.
La Peste Nera, altrimenti nota come Peste Bubbonica, è una patologia infettiva provocata da un batterio, la Yersinia pestis, di cui però non ne è l’unica manifestazione; esistono infatti tre tipologie di peste provocate da questo batterio: la peste bubbonica, la peste polmonare e la peste setticemica.
Essendo provocate dallo stesso patogeno, di fatto queste tre patologie possono essere considerate facenti parte di un unico quadro clinico ma con localizzazioni differenti (linfonodale per la bubbonica, polmonare per la polmonare e circolatoria per la setticemica, spesso conseguenza terminale della disseminazione al resto del corpo delle prime due, che portava quasi inevitabilmente alla morte del malato).
Trasmessa inizialmente tramite vettori (precisamente attraverso le pulci della specie Xenopsylla cheopis, spesso trasportate dai ratti), poi per via aerea una volta che il paziente si ammala, l’infezione da parte di questo batterio ha provocato nel corso della Storia non una ma ben 3 “pandemie” (o almeno intese come epidemie diffuse al mondo conosciuto di allora): una Prima tra il 541 e il 542 d.C. che prese il nome di Peste di Giustiniano (avvenuta durante il regno dell’Imperatore Giustiniano I, da cui il nome); una Seconda tra il 1346 e il 1353, la Peste Nera, alla quale però seguirono vari focolai nel territorio dell’Europa Centrale nel corso dei 300 anni successivi (tra questi la famosa epidemia di peste citata dal Manzoni ne I Promessi Sposi); e infine una Terza pandemia iniziata nel 1855 nella provincia cinese di Yunnan poi protrattasi fino al 1959, anch’essa però susseguita da più modeste epidemie di minore estensione e intensità localizzate prevalentemente tra le popolazioni del Terzo Mondo.
Finita questa premessa, riportiamo l’attenzione sulla Peste Nera della Seconda Pandemia e sui rimedi ai quali i medici dell’epoca ricorsero.
Prima di tutto, considerate che i prerequisiti per fregiarsi del titolo di “medico” erano estremamente vaghi e la popolazione era molto propensa all’iniziativa, pertanto frequentemente coloro che all’epoca si autoproclamavano “medici”, molto spesso o facevano tutt’altro nella vita o comunque non si erano mai avvicinati a un libro di medicina (o anche a un libro in generale).
Detto ciò, diamoci dentro.
Per molti anni le cause della peste rimasero ignote (basti pensare che il Dott. Alexandre Yersin riuscì a isolare il batterio responsabile della malattia solo molti anni più tardi, nel 1894, da cui il nome Yersinia pestis), pertanto le ipotesi sul fenomeno proliferarono come i ratti che la diffondevano.

Inizialmente, si pensava che la peste venisse trasmessa tramite dell’aria malsana e pertanto spesso si ricorse a fumigazioni con erbe aromatiche, fiori e incenso ma, vedendo che questo rimedio spesso non funzionava, si arrivò addirittura anche a consigliare di trasferirsi nelle fogne!
L’idea dietro a questa proposta era di andare a soggiornare dove gli odori nauseabondi dei liquami avrebbero sopraffatto l’aria pestilenziale, permettendo così la guarigione dell’ammalato. Ovviamente questo non avvenne e anzi spesso il quadro clinico peggiorava ulteriormente a causa delle nuove infezioni che i malati contraevano.
In quel periodo storico l’umore non era al massimo, intere famiglie estinte, città disabitate e poche prospettive per il futuro; pertanto, una delle teorie che vennero formulate fu quella che i pensieri negativi, soprattutto riguardanti la morte e la peste, potessero essere una concausa dell’aggravamento del quadro clinico e che pertanto andassero evitati a tutti i costi.
Per quanto questo possa avere una vaga plausibilità, purtroppo l’effetto placebo dello stare in compagnia, dei pensieri felici e del distrarsi in stile Decameron di Boccaccio (ambientato proprio durante la Peste Nera), non si dimostrarono sufficienti a risolvere il problema, anzi, lo stare a stretto contatto con altri malati spesso portava ad aumentare il rischio di contagi.
Una tra le teorie più famose pervenute ai giorni nostri fu quella della punizione divina e che la fine del mondo fosse ormai imminente, idea piuttosto ragionevole considerando che in quegli anni la mortalità era talmente alta da provocare un sovraffollamento delle fosse comuni e l’accumulo dei cadaveri nelle piazze cittadine.
Su questa premessa iniziarono a organizzarsi lunghe processioni dove spesso i partecipanti si percuotevano con fruste per espiare i propri peccati, riportando in auge la pratica della flagellazione (nata nel 1281 con l’eremita francescano Raniero Fasani, che a Perugia fondò la Compagnia dei Disciplinati di Cristo).

Vennero prodotte anche delle millantate Panacee in gran varietà e sebbene alcune includessero ingredienti “plausibili”, come preparati alle erbe o spezie, spesso venivano anche usati componenti piuttosto inusuali.
Ovviamente essendo dei prodotti miracolosi, spesso, oltre che essere ingeriti, era consigliato anche utilizzarli per fare delle spugnature su tutto il corpo del malato, in particolare sulle aree maggiormente interessate, quali i bubboni, specialmente se recentemente incisi dal “medico” per favorire l’uscita degli umori guasti.

Partendo dai meno eccentrici, possiamo citare il vino, l’aceto o l’urina, per poi passare a ingredienti più di nicchia, quali mercurio, arsenico, melassa (rigorosamente invecchiata di almeno dieci anni, il che la rendeva oltre che incredibilmente maleodorante anche molto densa e appiccicosa) e, per i pazienti più facoltosi, smeraldi finemente frantumati.

Spesso i “medici” dopo aver inciso un bubbone per facilitarne la guarigione applicavano un particolare unguento a base di resina di pino, radici di giglio bianco e feci umane (ovviamente).
Immagino questi medici non ricevessero molte recensioni negative dopo il loro lavoro…
Il mio rimedio preferito però l’ho lasciato per ultimo.
Sto parlando de La Cura del Pollo Vivo.
Tale rimedio prevedeva di legare un pollo vivo al corpo del paziente, in modo tale che fosse a contatto con il bubbone; dopodiché si attendeva che il pollo assorbisse per prossimità il malore della peste e morisse, lasciando il paziente completamente guarito.
Ovviamente la guarigione non si otteneva tanto facilmente, per cui spesso bisognava sostituire il povero pollo neo-defunto con un altro, e così via.
Una gara con la morte tra il paziente e il pollo, insomma.
Considerando poi che i bubboni altro non sono che linfonodi infetti, spesso i polli venivano legati o sotto l’ascella o all’inguine dei pazienti; non il punto più comodo dove avere un pollo vivo e comprensibilmente innervosito.

Per concludere, sicuramente i “medici” dell’epoca erano spinti da buone intenzioni e cercarono con i loro mezzi di trovare delle cure per gli ammalati, o almeno per dargli una qualche speranza; ma, si sa, la via verso l’Inferno è pavimentata di buone intenzioni per cui immagino che la Yersinia pestis non si aspettasse così tanta collaborazione.