[DISCLAIMER: questo è un articolo nozionistico, pertanto NON consiglio a nessuno di seguire questi approcci terapeutici ma di affidarvi ai vantaggi della moderna medicina seguendo le direttive del vostro medico di fiducia]

Inizialmente volevo scrivere questo articolo partendo dal fatto che gli antichi egizi ricorressero alla chirurgia per scopi estetici spesso applicandola però ai cadaveri (era luogo comune pensare che nell’aldilà si conservassero le fattezze di quando si era stati in vita e che, pertanto, una chirurgia per accentuare i tratti somatici e preservare la propria riconoscibilità agli occhi dei propri cari già trapassati era auspicabile), tale argomento è stato però soppiantato dalla “scoperta” nella quale mi sono imbattuto ricercando materiale per scrivere.
Oggi parleremo del Papiro di Edwin Smith.
Come si può dedurre dal nome, Edwin Smith non era egiziano e tantomeno visse nel 2000 a.C., egli infatti fu un egittologo statunitense che visse nella seconda metà dell’800 e che diede un importante contributo non solo allo studio della civiltà dell’Antico Egitto, ma anche alla storia della medicina.

Pare che nel 1862 Smith venne in possesso di un particolare papiro tramite un rivenditore di Luxor (Egitto), tale Mustapha Aga.
L’unicità di tale papiro, lungo in origine circa 5 metri, è il fatto di descrivere 48 casi clinici con un approccio talmente scientifico da risultare moderno. Un esempio, che potrebbe sembrare banale al giorno d’oggi ma che non è per nulla scontato, è la pressoché totale assenza di riferimenti a incantesimi, esoterismo o rituali magici allo scopo di lenire le sofferenze dei pazienti.
Ciascun caso clinico viene descritto in maniera standardizzata: per tipo di lesione, localizzazione, diagnosi, trattamento e prognosi.
L’ordine di trattazione è anatomico, partendo dal capo a scendere, includendo collo, braccia, tronco e colonna vertebrale, dove il trattato si interrompe, facendo ipotizzare che una parte possa essere mancante.

Essendo scritto in ieratico, forma corsiva della scrittura in geroglifici utilizzata dagli scribi, il testo è stato analizzato con attenzione per quanto riguarda la sintassi e l’uso delle parole, permettendo agli studiosi di formulare l’ipotesi che il documento, datato intorno al 1600 a.C., possa essere in realtà una copia di un trattato più antico, risalente addirittura al 3000-2500 a.C.
Tale datazione ha portato ad aumentare il mistero e le speculazioni riguardo all’identità dell’originale autore del testo.
Ad oggi, l’ipotesi più accreditata ci è stata fornita dal famoso egittologo James Henry Breasted, a cui dobbiamo la traduzione del testo avvenuta nel 1920, che fa risalire l’origine del trattato a Imhotep, grande medico, architetto e astronomo che servì il faraone Djoser durante la III Dinastia (XXVI secolo a.C.).


Ma torniamo al contenuto di questo sconcertante documento.
Come ho già accennato, nel testo viene descritto l’iter procedurale sia per la diagnosi che per la cura dei pazienti, da cui deriva la prognosi, la quale poteva essere: male che può essere discusso e curato (prognosi favorevole), male che può essere discusso e che si può tentare di curare (prognosi incerta), male che non può essere trattato perché assolutamente privo di speranza (prognosi sfavorevole).
Vengono descritti anche alcuni strumenti utilizzati dal chirurgo durante le operazioni: da garze assorbenti di lino, a punti di sutura, passando per rudimentali stecche fatte di gesso e colla per la ricostruzione delle fratture ossee, in grado di adattarsi all’arto del paziente (molto simili a quelle usate oggigiorno), ma anche piccoli coltelli antenati dei più moderni bisturi.
Interessanti sono anche i farmaci che venivano utilizzati dopo le operazioni chirurgiche: innanzitutto, il giorno successivo all’operazione veniva applicata della carne fresca sulla ferita per ridurre il sanguinamento, in seguito veniva applicata una pomata fatta di grasso e miele da utilizzare tutti i giorni fino alla guarigione completa.
Degno di nota è l’utilizzo di decotti di salice a scopo antinfiammatorio: a una prima occhiata può sembrare una banalità, ma forse non tutti sanno che proprio da questa pianta ha origine l’acido acetilsalicilico, altrimenti noto ai giorni nostri come aspirina.
Un’ulteriore nota d’interesse è l’utilizzo durante la valutazione clinica della presa delle pulsazioni cardiache al polso del paziente e il coinvolgimento del cuore nella genesi di tale reperto; la successiva menzione a ciò avverrà 2500 anni dopo nei trattati di medicina degli studiosi greci.
Un ultimo primato da attribuire a questo trattato è l’utilizzo per la prima volta nella storia della medicina del termine “cervello”, la sua per quanto rudimentale descrizione anatomica e il suo ruolo nella coordinazione dei movimenti degli arti (in particolare l’autore pone l’attenzione sugli arti inferiori).
In conclusione, volendo andare oltre alla sconcertante modernità di questo documento, una nota di riflessione che mi sorge spontanea è il fatto di quanto avanzata fosse la conoscenza in ambito medico già più di 2000 anni prima la nascita di Ippocrate, il “padre” della medicina moderna, ma come poi questa consapevolezza sia andata via via perduta con il passare dei secoli (basti pensare al Medioevo) spesso per restrizioni religiose o ignoranza della popolazione.
Per approfondire:
[pdf della traduzione del papiro, fornita dalla Univeristy of Chicago https://oi.uchicago.edu/sites/oi.uchicago.edu/files/uploads/shared/docs/oip3.pdf]
[articolo di analisi nello specifico delle lesioni alla colonna vertebrale https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2989268/]